Concluso il Consiglio Nazionale/La replica del segretario del Pri: "Appuntamento al Congresso" Un partito libero di fare le sue scelte Cari amici, voglio ringraziare i membri della maggioranza, come quelli della minoranza, che hanno dato vita ad un dibattito politico appassionante in questi due giorni. Ci sono visioni diverse all’interno del partito: parliamo di una situazione delicata e difficile come quella italiana, nonché quella europea. Credo che solo il congresso potrà tracciare una linea adeguata alla quale tutti conformeranno, se non il loro pensiero, il loro comportamento. Un partito di minoranza deve essere capace di avere al suo interno un grande dibattito; ma poi deve anche dimostrare una forte compattezza. Il Partito repubblicano è senza padroni: io, in questi dieci anni, in cui ho avuto l’onore e l’onere della segreteria nazionale, mi sono preoccupato di servire il partito. Mi sono preoccupato che la minoranza avesse i necessari spazi in direzione e in consiglio nazionale, indipendentemente dalle deleghe congressuali. Il confronto intorno alla diversità di opinioni è una garanzia di ricchezza. Non è mai piacevole per una segreteria nazionale avallare provvedimenti disciplinari nei confronti di esponenti del partito, ma nessun iscritto, nessuna sezione può contravvenire agli impegni presi dalla direzione e dalla segreteria. Ravenna è alleata con il centrosinistra, ma ha avuto una delega dalla segreteria nazionale. Se avesse fatto un accordo con la sinistra senza sottoporlo alla segreteria nazionale, la direzione del partito non si sarebbe potuta piegare al fatto compiuto. E se qualcuno crede di intimidire il segretario del Pri con i fatti compiuti, ha sbagliato persona. E forse anche partito. Deve essere chiaro che io non pongo questioni personali, ma solo di partito. La mia ambizione personale, concedetemela, è quella di fare il presidente, del Pri, della regione Calabria. L’amico Savoldi ha diffuso, quasi si trattasse di un volantino, l’intervento di un amico che non ha ritenuto di dover presenziare al Consiglio nazionale, ma ha partecipato a un altro convegno. La sospensione dal partito concerne la rappresentanza del partito, non la possibilità di discussione al suo interno. E in tutti i modi che un iscritto ritiene opportuni. Non è mai accaduto, a mia memoria almeno, che un membro del consiglio nazionale facesse leggere il suo intervento, all’interno del consiglio, da una terza persona. Forse solo l’amico Biasini, quando era molto malato. Altrimenti l’intervento viene dato alla presidenza e trasmesso alla "Voce Repubblicana" per la pubblicazione. Io desidero far sapere che il segretario sarebbe pure stato disposto a convocare la direzione per revocare il provvedimento di sospensione se si fosse aperto un confronto che è stato rifiutato dal diretto interessato. Come vi ho detto nel mio intervento di apertura dei lavori, io sono attento e comprendo ogni esigenza di rinnovamento politico - ci mancherebbe - sia per quello che concerne il partito sia per quello che riguarda il paese. Ma, se si pone una questione morale, non faccio processi e non emetto sentenze sull’onda delle rivelazioni della stampa. Aspetto le sentenze dei tribunali. Visto che questo è un partito in cui alcuni amici hanno subito delle condanne negli anni di tangentopoli, credo che una certa prudenza a riguardo sarebbe opportuno venisse osservata. Capisco che gli amici siano insofferenti di un sistema bipolare come quello che si è profilato dal ‘94 in avanti, e che vogliano cercare delle strade diverse. Io resto dell’idea che una forza politica seria rispetta gli accordi politici presi con gli alleati per tutta la legislatura. Altrimenti ha bisogno di un congresso per revocarli: non basta certo la mancata risposta ad una lettera inviata al presidente del Consiglio. Se poi questo doveva essere considerato il vulnus scatenante per una rottura con il premier, mi pare argomento un po’ debole. O, per lo meno, la direzione del partito non l’ha recepito come tale. Anche perché Berlusconi sarà pure formidabile ma, a distanza di qualche anno dall’insediamento del suo nuovo governo, chiedergli di risolvere problemi quarantennali mi pare un po’ troppo. Noi siamo stati alleati per più di 40 anni con la Democrazia cristiana, attenti a far valere la nostra forza critica anche in condizioni di debolezza estrema: questo ritengo che si dovesse fare anche in questa legislatura e, per quello che ho potuto, credo di aver fatto la mia parte. Certo, possiamo anche essere persuasi che questo centrodestra, all’indomani della rottura di Fini, sia destinato ad esaurire il suo ciclo, ma dobbiamo anche porci il problema di quale alternativa sia possibile costituire per evitare che il declino del centrodestra coincida con il declino del paese, come ha detto un amico di Pordenone nel suo intervento venerdì. E’ troppo facile pensare che il paese declini con il centrodestra. Il nostro paese, unico in tutto l’Occidente, ha infatti confermato solo un anno fa la sua maggioranza con le elezioni regionali. Obama ha perso le elezioni di metà mandato, la Merkel le regionali, Sarkozy le amministrative, il Labour è stato sconfitto nelle politiche del Regno Unito. Il Pdl di Berlusconi le ha vinte. Nelle Marche, regione in cui il centrosinistra pure lo ha sconfitto, il Pdl è il primo partito su scala regionale. Può darsi che quello delle amministrative della primavera scorsa sia stato il canto del cigno; certo il legame popolare con la maggioranza è parso molto saldo, tanto da chiederci quanto poi sia estesa la convinzione che l’Italia sia pronta davvero a cambiare registro. Questo non significa che noi non abbiamo comunque il desiderio di cambiare registro, perché riteniamo comunque insoddisfacente il bilancio dell’azione di governo. Significa, invece, che i passi vanno misurati con molta prudenza per evitare uno scivolone disastroso. Ho pensato all’esperienza dell’89: il Pri era convinto dell’esaurimento del ruolo della Democrazia cristiana e di una crisi impellente alle porte, e si mosse per cercare di costruire un’alternativa politica convincente. Era un tentativo coraggioso che pure sarà archiviato alle cronache della storia come anticipatore di una crisi del sistema che ci avrebbe travolto tutti. L’averlo fatto ha sicuramente consentito al partito di resistere negli anni a seguire. Va notato che allora eravamo noi alla guida di quell’iniziativa e questo ci chiedeva comunque un impegno come partito. Non mi sento di dire che un tentativo di rinnovamento del sistema, attraverso Fini o Casini, possa ottenere quel successo che non ebbero i repubblicani ai tempi in cui la guida del Pri era affidata a Giorgio La Malfa. Non perché non creda alle qualità di Fini o Casini, ma perché ritengo che quelle qualità vadano valutate all’interno del sistema politico di cui pure hanno fatto parte e che ora essi vogliono superare. Se siamo davanti ad una crisi di sistema, coloro che vi hanno partecipato ne seguiranno le stesse sorti. Se il problema è solo Berlusconi, basta cambiare il premier, certo. Ma se la crisi è una crisi profonda, tanto da spingere a un terzo polo, allora è il bipolarismo maggioritario che va cambiato. E coloro che hanno contribuito più di tutti alla formazione di questo bipolarismo, Fini, D’Alema, molto difficilmente possono anche essere coloro che sono capaci di superarlo. Devo anche dirvi che c’è un problema ulteriore che cade proprio, nemmeno a volerlo, nel centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Noi abbiamo un rapporto controverso con la Lega, ma la Lega è oggi il primo partito del Nord. Come si costruisce una nuova maggioranza nel Paese con il Nord all’opposizione? Perché Berlusconi, con tutti i suoi difetti, è ancora riuscito a tenere in piedi l’unità nazionale con la Lega al governo. Non ho capito, allora, se si pensi ad un governo che esclude la Lega, e se questo governo potrebbe avere i numeri per non essere altro che un governo del Centro e del Sud Italia opposto al Nord. Mi sembra un problema di un qualche conto, anche considerando un personaggio come Lombardo che rivendica posizione sanfediste, che non mi pare nessuno ancora abbia affrontato seriamente. Quando dico che il partito non ha padroni, questo significa che nulla impedisce al partito di fare le scelte che ritiene più opportune. Si tratta solo poi di rispettarne le decisioni. |